Altri progetti e scritti
Quando i Medici tornarono nel 1530, Michelangelo tornò a lavorare alle loro tombe di famiglia. Il suo impegno politico fu probabilmente più verso la sua città in quanto tale che verso qualsiasi forma specifica di governo. Due progetti separati di statue di questa data sono l’Apollo o David (la sua identità è problematica), usato come regalo a una nuova figura politica potente, e la Vittoria, una figura che calpesta un nemico sconfitto, un vecchio. Probabilmente era destinato alla tomba mai dimenticata di Papa Giulio, perché il motivo era stato presente nei progetti per quella tomba. Il vincitore e lo sconfitto hanno entrambi pose intensamente complicate; il perdente sembra imballato in un blocco, il vincitore – come l’Apollo – forma una spirale agile. Il gruppo della Vittoria divenne il modello preferito dai giovani scultori del gruppo manierista, che applicarono la formula a molti soggetti allegorici.
Nel 1534 Michelangelo lasciò Firenze per l’ultima volta, anche se sperò sempre di tornare per finire i progetti che aveva lasciato incompleti. Passò il resto della sua vita a Roma, lavorando a progetti in alcuni casi altrettanto grandiosi ma nella maggior parte dei casi di tipo del tutto nuovo. Da questo momento in poi, un gran numero di sue lettere alla sua famiglia a Firenze sono state conservate; molte di esse si concentrano sui piani per il matrimonio di suo nipote, essenziale per preservare il nome della famiglia. Il padre di Michelangelo era morto nel 1531 e il suo fratello preferito più o meno nello stesso periodo; egli stesso mostrò una crescente ansia per l’età e la morte. Fu proprio in questo periodo che l’artista quasi sessantenne scrisse lettere che esprimevano forti sentimenti di attaccamento a giovani uomini, principalmente all’aristocratico di talento Tommaso Cavalieri, più tardi attivo negli affari civili romani. Queste sono state naturalmente interpretate come indicazioni che Michelangelo fosse gay, ma il suo orientamento sessuale non può essere confermato in quanto nessuna indicazione simile era emersa quando l’artista era più giovane. La correlazione di queste lettere con altri eventi potrebbe suggerire che egli stesse cercando un figlio surrogato, scegliendo per lo scopo un uomo più giovane che fosse ammirevole in ogni modo e che avrebbe accettato il ruolo.
Anche la poesia di Michelangelo è conservata in quantità da questo periodo. Sembra che abbia iniziato a scrivere brevi poesie in un modo comune tra i non professionisti dell’epoca, come un elegante tipo di lettera, ma si è sviluppato in un modo più originale ed espressivo. Tra le circa 300 poesie conservate, esclusi i frammenti di un verso o due, ci sono circa 75 sonetti finiti e circa 95 madrigali finiti, poesie della stessa lunghezza dei sonetti ma con una struttura formale più sciolta. Nei paesi di lingua inglese si tende a parlare di “sonetti di Michelangelo”, come se tutte le sue poesie fossero scritte in quella forma, in parte perché i sonetti erano ampiamente diffusi nelle traduzioni inglesi del periodo vittoriano e in parte perché il madrigale non è familiare nella poesia inglese. (Non è il tipo di canzone ben noto nella musica elisabettiana, ma un poema con schema di rima, lunghezza dei versi e numero di versi irregolari). Eppure il fatto che Michelangelo abbia lasciato incompiuto un gran numero di sonetti ma solo pochissimi madrigali suggerisce che egli preferisse quest’ultima forma. Quelli scritti fino al 1545 circa hanno temi basati sulla tradizione dei poemi d’amore di Petrarca e una filosofia basata sul neoplatonismo che Michelangelo aveva assorbito da ragazzo alla corte di Lorenzo il Magnifico. Essi esprimono il tema che l’amore aiuta gli esseri umani nel loro difficile sforzo di ascendere al divino.
Nel 1534 Michelangelo tornò dopo un quarto di secolo alla pittura ad affresco, eseguendo per il nuovo papa, Paolo III, l’enorme Giudizio Universale per la parete di fondo della Cappella Sistina. Questo tema era stato uno dei preferiti per le grandi pareti di fondo delle chiese in Italia nel Medioevo e fino al 1500 circa, ma in seguito era passato di moda. Si suggerisce spesso che questo rinnovamento di una tradizione devota provenga dagli stessi impulsi che stavano portando alla Controriforma sotto l’egida di Paolo III. L’opera è in uno stile pittorico notevolmente diverso da quello di 25 anni prima. La combinazione di colori è più semplice di quella del soffitto: toni di carne contro un cielo blu scuro. Le figure hanno meno energia e le loro forme sono meno articolate, i torsi tendono ad essere singole masse carnose senza vita. In alto al centro, Cristo come giudice – circondato da una folla di apostoli, santi, patriarchi e martiri – alza un braccio per salvare quelli alla sua destra e lascia cadere l’altro braccio per dannare quelli alla sua sinistra, suggerendo nell’idioma dell’epoca una bilancia per pesare gli uomini. Le anime salvate salgono lentamente attraverso l’aria pesante, mentre i dannati affondano. In fondo al muro, scheletri escono dalle tombe, un motivo preso direttamente dai precedenti medievali. A destra Caronte traghetta le anime attraverso il fiume Stige, un motivo pagano che Dante aveva reso accettabile ai cristiani nella sua Divina Commedia e che era stato introdotto nella pittura intorno al 1500 dall’artista umbro Luca Signorelli. Michelangelo ammirava questo artista per la sua abilità nell’esprimere il sentimento drammatico attraverso l’esattezza anatomica. Il Giudizio Universale, concepito come una scena unica, unitaria e grandiosa, senza elementi architettonici che ne dividano e definiscano lo spazio, è permeato da un senso di intensità dinamica che deriva dai gesti e dalle espressioni emotive dei giudicati.