Il precedente “Papillon” – un grande successo nell’anno (1973) di “La stangata”, “L’esorcista” e “American Graffiti” – occupa un posto di rispetto nel cuore di milioni di persone, così come i racconti di Charrière sulla sua astuta resistenza, prima, durante e dopo il suo periodo nella colonia penale conosciuta come Devil’s Island. I racconti di improbabili fughe dalle peggiori prigioni conosciute dal genere umano esercitano una particolare presa sugli spettatori. Per un paio d’ore estenuanti, scambiamo le nostre circostanze con gli estremi brutali di qualcun altro, e ne usciamo svuotati e ispirati – Shawshanked, in altre parole.
Cos’è allora di questa particolare storia che resiste a un trattamento cinematografico pienamente soddisfacente?
In parte, penso, è perché si può credere solo fino a un certo punto. Il nuovo “Papillon”, diretto dal documentarista e regista danese Michael Noer, copre più terreno cronologicamente del precedente, il che è un cambiamento gradito. Nella sceneggiatura di Aaron Guzikowski, incontriamo l’aitante scassinatore soprannominato Papillon (interpretato da Charlie Hunnam) che vive allegramente la sua vita nel quartiere di Montmartre a Parigi nel 1931.
All’improvviso, Papillon viene arrestato e condannato per un omicidio che non ha commesso, e poco dopo viene gettato nella fogna del sistema penale francese. L’ergastolo nella Guyana francese spinge Papillon a una serie di tentativi di salvataggio. Insieme a un altro detenuto, il falsario Louis Dega (Rami Malek), Papi si ritrova alla fine sulla famigerata Isola del Diavolo, da cui nessun uomo è mai fuggito.
Per il periodo 1931-1945, il nuovo “Papillon” è stato girato in Serbia e a Malta. Le sue prime scene del periodo d’oro del Moulin Rouge sono puro artificio da backlot, per poi passare alla predilezione del regista Noer per l’immediatezza a mano, avvicinandosi il più possibile alle risse nelle docce, alle gole tagliate, ai sudici sfruttamenti sessuali e agli anni di isolamento di Papillon.
Il film colpisce doverosamente i momenti salienti dei tentativi di fuga. Hunnam è il punto focale del film, nonché il suo oggetto di lussuria, il suo appeal al botteghino e il suo centro morale; è un criminale buono che non ha mai fatto male a una mosca finché il sadico sistema penale francese non si è impossessato di lui. Dega, codardo e debole, ha bisogno della protezione del suo amico. In cambio, finanzia le varie tangenti e bustarelle necessarie per riuscire a fuggire dall’Isola del Diavolo, con i suoi soldi nascosti al sicuro nel suo didietro.
Per quanto riguarda il tuo didietro, potrebbe essere sottoposto a una prova di resistenza. I ritmi della versione di Charrière della storia della sua vita diventano stancanti dopo un po’: reclusione, tentativo di fuga, punizione, salasso, reclusione, tentativo di fuga, ripetizione. I personaggi stessi sono capricci, tipi, persone non del tutto tridimensionali.
Ciò che Charrière ha sopportato, e infine lasciato, si è già dimostrato irresistibile per un pubblico globale. Questa rivisitazione – graziosamente assemblata, un po’ noiosa – dà a quel pubblico poco di veramente nuovo.
★★½ “Papillon”, con Charlie Hunnam, Rami Malek, Eve Hewson. Regia di Michael Noer, da una sceneggiatura di Aaron Guzikowski, basata sui libri “Papillon” e “Banco” di Henri Charrière. 133 minuti. Rated R per violenza, incluse immagini sanguinose, linguaggio, nudità e materiale sessuale. Apre il 24 agosto in più sale.