Le due grandi tradizioni filosofiche e religiose indigene della Cina, il Daoismo e il Confucianesimo, hanno avuto origine all’incirca nello stesso periodo (VI-V secolo a.C.) in quelle che oggi sono rispettivamente le vicine province orientali cinesi di Henan e Shandong. Entrambe le tradizioni hanno permeato la cultura cinese per circa 2.500 anni. Entrambe sono associate ad un fondatore individuale, anche se nel caso del Daoismo la figura, Laozi (fiorito nel VI secolo a.C.), è estremamente oscura, e alcuni aspetti della sua biografia tradizionale sono quasi certamente leggendari. Una storia convenzionale ma improbabile vuole che Laozi e Confucio (551-479 a.C.), il fondatore del confucianesimo, si siano incontrati una volta e che il primo filosofo (più anziano) non ne sia rimasto impressionato. Sia come sia, le loro rispettive tradizioni condividono molte delle stesse idee (sull’umanità, la società, il sovrano, il cielo e l’universo) e, nel corso dei millenni, si sono influenzate e prese in prestito a vicenda. Anche dopo la fine del periodo dinastico (1911) e l’istituzione della Repubblica popolare comunista (1949), spesso violentemente ostile alla religione, l’influenza del daoismo e del confucianesimo nella cultura cinese rimane forte.
Il Daoismo e il Confucianesimo sono nati come visioni filosofiche del mondo e modi di vita. A differenza del confucianesimo, però, il taoismo si è sviluppato in una religione autocosciente, con una dottrina organizzata, pratiche cultuali e una leadership istituzionale. In parte, poiché le dottrine del Daoismo religioso differivano inevitabilmente dalla filosofia da cui erano nate, divenne consuetudine tra gli studiosi successivi distinguere tra la versione filosofica e quella religiosa del Daoismo, e alcuni considerarono quest’ultima come un’interpretazione superstiziosa o un’adulterazione della filosofia originale. Questo punto di vista critico, tuttavia, è ora generalmente respinto come semplicistico, e la maggior parte degli studiosi contemporanei considera le interpretazioni filosofiche e religiose del Daoismo come se si informassero e influenzassero reciprocamente.
Le idee e le dottrine di base del Daoismo filosofico sono esposte nel Daodejing (“Classico della Via del Potere”) – un’opera tradizionalmente attribuita a Laozi ma probabilmente composta dopo la sua vita da molte mani – e nello Zhuangzi (“Maestro Zhuang”) dell’omonimo filosofo daoista del IV-III secolo a.C. Il concetto filosofico da cui la tradizione prende il nome, dao, è ampio e sfaccettato, come indicato dai molti significati correlati del termine, tra cui “sentiero”, “strada”, “via”, “discorso” e “metodo”. Di conseguenza, il concetto ha varie interpretazioni e svolge vari ruoli all’interno della filosofia taoista. Nella sua interpretazione più profonda, il Dao Cosmico, o Via del Cosmo, è la “fonte” immanente e trascendente dell’universo (Daodejing), che genera spontaneamente e incessantemente le “diecimila cose” (metafora del mondo) e dà origine, nella sua costante fluttuazione, alle forze complementari dello yinyang, che costituiscono tutti gli aspetti e fenomeni della vita. Il Dao Cosmico è “impercettibile” e “indiscernibile”, nel senso di essere indeterminato o non una cosa particolare; è il vuoto che contiene latentemente tutte le forme, entità e forze dei fenomeni particolari. Un’altra importante interpretazione del dao è quella della “via” particolare di una cosa o di un gruppo di cose, compresi gli individui (per esempio, i saggi e i governanti) e l’umanità nel suo insieme.
La filosofia taoista contrappone caratteristicamente il Dao cosmico nella sua naturalezza, spontaneità ed eterna fluttuazione ritmica all’artificialità, costrizione e stasi della società e della cultura umana. L’umanità fiorirà solo nella misura in cui la via umana (rendao) sarà in sintonia o armonizzata con il Tao cosmico, in parte attraverso la saggia regola dei saggi-re che praticano il wuwei, o la virtù di non intraprendere alcuna azione che non sia in accordo con la natura.
In generale, mentre il Taoismo abbraccia la natura e ciò che è naturale e spontaneo nell’esperienza umana, fino al punto di liquidare gran parte della cultura, dell’apprendimento e della moralità avanzata della Cina, il Confucianesimo considera le istituzioni sociali umane – compresa la famiglia, la scuola, la comunità e lo stato – come essenziali per la fioritura umana e l’eccellenza morale, perché sono l’unico regno in cui queste conquiste, come le concepisce Confucio, sono possibili.
Appassionato dell’antichità, Confucio tentò ampiamente di far rivivere l’apprendimento, i valori culturali e le pratiche rituali del primo regno Zhou (a partire dall’XI secolo a.C.) come mezzo per rinnovare moralmente la società violenta e caotica del suo tempo (quella del periodo delle primavere e degli autunni) e per promuovere l’auto-coltivazione individuale – il compito di acquisire la virtù (ren, o “umanità”) e di diventare un esempio morale (junzi, o “signore”). Secondo Confucio, tutte le persone, indipendentemente dalla loro posizione, sono in grado di possedere il ren, che si manifesta quando le proprie interazioni sociali dimostrano umanità e benevolenza verso gli altri. Gli junzi autocoltivati possiedono la maturità etica e la conoscenza di sé, raggiunta attraverso anni di studio, riflessione e pratica; sono quindi in contrasto con le persone meschine (xiaoren; letteralmente “persona piccola”), che sono moralmente come bambini.
Il pensiero di Confucio fu interpretato in vari modi durante i successivi 1.500 anni da filosofi successivi che furono riconosciuti come fondatori delle proprie scuole di filosofia confuciana e neoconfuciana. Verso il 1190 il filosofo neo-confuciano Zhu Xi pubblicò una compilazione di osservazioni attribuite a Confucio, che erano state trasmesse sia oralmente che per iscritto. Conosciuto come Lunyu, o gli Analetti di Confucio, da allora è stato considerato il resoconto storico più affidabile della vita e delle dottrine di Confucio.