Vedanta

Vedanta, uno dei sei sistemi (darshan) della filosofia indiana. Il termine Vedanta significa in sanscrito la “conclusione” (anta) dei Veda, la prima letteratura sacra dell’India. Si applica alle Upanishad, che erano elaborazioni dei Veda, e alla scuola che è sorta dallo studio (mimamsa) delle Upanishad. Così, il Vedanta è anche chiamato Vedanta Mimamsa (“Riflessione sul Vedanta”), Uttara Mimamsa (“Riflessione sull’ultima parte dei Veda”), e Brahma Mimamsa (“Riflessione sul Brahman”).

La divinità indù Krishna, un avatar di Vishnu, montato su un cavallo che tira Arjuna, eroe del poema epico Mahabharata; illustrazione del XVII secolo: Preoccupazioni comuni

Solo la filosofia Vedanta (“fine dei Veda”) e il Samkhya (un sistema che accetta una materia reale e una pluralità di…

I tre testi fondamentali del Vedanta sono: le Upanishad (le più favorite sono quelle più lunghe e antiche come la Brihadaranyaka, la Chandogya, la Taittiriya e la Katha); i Brahma-sutra (chiamati anche Vedanta-sutra), che sono interpretazioni molto brevi, anche di una sola parola, della dottrina delle Upanishad; e la Bhagavadgita (“Canto del Signore”), che, a causa della sua immensa popolarità, è stata utilizzata per sostenere le dottrine delle Upanishad.

Non è emersa un’unica interpretazione dei testi, e si sono sviluppate diverse scuole di Vedanta, differenziate dalle loro concezioni della natura della relazione, e del grado di identità, tra il nucleo eterno del sé individuale (atman) e l’assoluto (brahman). Queste concezioni vanno dal non-dualismo (Advaita) del filosofo Shankara dell’VIII secolo al teismo (Vishishtadvaita; letteralmente, “Non-dualismo qualificato”) del pensatore Ramanuja dell’XI-XII secolo e al dualismo (Dvaita) del pensatore Madhva del XIII secolo.

Le scuole Vedanta hanno comunque in comune una serie di credenze: la trasmigrazione del sé (samsara) e la desiderabilità della liberazione dal ciclo delle rinascite; l’autorità dei Veda sui mezzi di liberazione; che il brahman è sia la causa materiale (upadana) che strumentale (nimitta) del mondo; e che il sé (atman) è l’agente dei propri atti (karma) e quindi il destinatario dei frutti (phala), o conseguenze, delle azioni. Tutte le scuole Vedanta respingono all’unanimità sia le filosofie non vediche, “che dicono no” (nastika) del buddismo e del giainismo, sia le conclusioni delle altre scuole vediche, “che dicono sì” (astika) (Nyaya, Vaisheshika, Samkhya, Yoga e, in una certa misura, il Purva Mimamsa).

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L’influenza del Vedanta sul pensiero indiano è stata profonda. Anche se la preponderanza di testi di studiosi dell’Advaita ha dato origine in Occidente all’errata impressione che Vedanta significhi Advaita, l’Advaita non-dualistico non è che una delle molte scuole Vedanta.

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